Onorevoli Colleghi! - Il dibattito che si è sviluppato all'indomani dell'approvazione della legge finanziaria 2007, legge n. 296 del 2006, dimostra che è venuto il tempo di pensare a una riforma profonda di tutta la sua impostazione.
      Sull'argomento si sono pronunciati, innanzitutto, i vertici istituzionali del Paese. Dal Presidente della Repubblica, che ha auspicato una profonda rimeditazione, che ponesse fine agli inconvenienti che si sono registrati nell'ultima sessione di bilancio, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, che si sono uniti nelle critiche, dando il loro autorevole avallo. Anche studiosi di varia estrazione da tempo sottolineano l'esigenza di adeguare regole e procedure al mutato contesto economico e sociale del Paese. Non si dimentichi, infatti, che la legge n. 468 del 1978 è nata in un quadro teorico che appartiene ormai all'esperienza storica del novecento. Il suo impianto, di tipo keynesiano, non regge più di fronte alle novità introdotte dal processo di globalizzazione e al mutato contesto europeo, segnato dalla nascita dell'euro e dal trasferimento, in capo alla Banca centrale europea, di competenze che un tempo appartenevano alla Banca d'Italia. Le modifiche che sono state introdotte in questi anni, a partire dalla legge n. 362 del 1988, non hanno scalfito l'impianto originario. Si sono mosse all'interno di uno schema che è rimasto immutato nei suoi tratti costitutivi, ma che oggi appare inadeguato di fronte alle sfide del presente e alle trasformazioni nel frattempo intervenute nello stesso sistema

 

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politico italiano. Il passaggio dal sistema proporzionale alla democrazia dell'alternanza è stato senza conseguenze ai fini della gestione della politica di bilancio e del riequilibrio dei poteri tra Governo e Parlamento in tema di decisione e di controllo sugli equilibri di finanza pubblica.
      Queste contraddizioni di fondo spiegano perché la discussione parlamentare, in questi anni, sia andata progressivamente peggiorando. Non è questione di maggioranza o di opposizione. Le critiche sono state sempre speculari, a prescindere dai ruoli pro tempore esercitati. Anzi, il fenomeno degenerativo è, inevitabilmente, progredito. Nessuna meraviglia. L'espediente adottato, di volta in volta, per risolvere problemi che la disciplina vigente non era in grado di affrontare, ha creato un precedente che è stato successivamente seguito nelle ulteriori sessioni di bilancio. Valga per tutti il caso della legge n. 662 del 1996, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, di fatto la legge finanziaria per l'anno 1997. Allora si sperimentò per la prima volta l'ipotesi dell'accorpamento. Furono posti in votazione, con la fiducia, solo tre articoli, ciascuno dei quali recava centinaia di commi. Una procedura al limite dei parametri costituzionali di cui al prima comma dell'articolo 72. Quel precedente si trasformò rapidamente in una prassi, quasi sempre seguita dai successivi Governi, qualunque fosse la loro composizione politica. Con la conseguenza di espropriare il Parlamento dal suo diritto-dovere di analisi puntuale delle singole disposizioni normative. La concentrazione delle norme in un unico contenitore giuridico avveniva, infatti, a seguito della presentazione, all'ultimo minuto, di un maxi emendamento, che nessuno era in grado di esaminare e di valutare con la dovuta consapevolezza.
      A questi e altri inconvenienti si è cercato di fare fronte, nel corso degli anni, con interventi di semplice manutenzione. Le procedure sono state cambiate più volte. Così come il complesso dei documenti presentati. All'inizio era prevista la sola legge finanziaria: destinata a trasformarsi immediatamente in un veicolo omnibus dove scrivere le cose più diverse e variegate, che nulla avevano a che vedere con le manovre di finanza pubblica. Per fare fronte a questo inconveniente la legge finanziaria fu scissa in due distinti disegni di legge. La legge finanziaria, in cui indicare i soli saldi di finanza pubblica, e il collegato di sessione, dove inserire la legislazione sostanziale. La battaglia, inutile dirlo, si trasferì su quest'ultimo documento, che assunse di nuovo le caratteristiche della legge omnibus. Si tornò, quindi, come in un perverso gioco dell'oca, alla soluzione precedente. Un unico disegno di legge, accompagnato da collegati di sessione che il Parlamento approvò, quando lo ritenne opportuno, come qualsivoglia disegno di legge.
      Sforzi immani furono effettuati per individuare il contenuto proprio della legge finanziaria, escludendo, di volta in volta, deleghe legislative, norme di carattere localistico, disposizioni a effetto differito. Alla Presidenza dei due rami del Parlamento furono affidati compiti penetranti in tema di valutazione delle singole norme, di cui potevano decretare l'inammissibilità. Tentativi costosi, del tutto sproporzionati rispetto alla relativa resa. Il sistema non poteva funzionare per ragioni che andavano oltre l'ingegneria istituzionale. Quelle procedure presupponevano un habitat politico che nel frattempo era profondamente mutato. In passato la struttura dei grandi partiti di massa era in grado di selezionare le spinte dell'elettorato: le recepiva all'interno di una propria visione, le rendeva compatibili con la propria strategia o, quando il fossato diveniva incolmabile, le respingeva. Con la frammentazione del quadro politico, il legame con i segmenti in cui si articola la società italiana è divenuto più stretto e cogente. Una visione dell'interesse generale ha ceduto il passo al prevalere di interessi minuti che costituiscono, tuttavia, il bacino elettorale delle singole formazioni, seppure nel quadro degli accordi di coalizione. Gestire il tutto è divenuto sempre più difficile, fino a tradursi nell'impossibilità di una sintesi.
 

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      Sono questi gli elementi di fondo che hanno definitivamente messo in crisi le procedure che sorreggono la sessione di bilancio. Crisi esplosa nella discussione dell'ultima legge finanziaria. Essa si è mossa all'interno di un quadro analitico che risentiva degli echi della battaglia elettorale appena conclusa. Il breve lasso di tempo intercorso tra la conclusione di quella vicenda e l'impostazione della legge finanziaria non ha consentito la necessaria sedimentazione. E quindi la riflessione più approfondita sullo stato effettivo dell'economia italiana. Tanto più che la tempistica fiscale delle riscossioni male si concilia con la scansione prevista nella predisposizione dei documenti di bilancio. Ne sono derivati errori di valutazione che solo con il trascorrere del tempo sono risultati evidenti e incontrovertibili. Alcuni avevano colto per tempo queste contraddizioni. Ma non hanno avuto la possibilità di incidere sul senso comune che, nel frattempo, si era consolidato. Il continuum previsione-decisione ha completato l'opera in negativo.
      La terapia individuata, sulla base di presupposti errati, sta incidendo negativamente sull'evoluzione del quadro macroeconomico. Grande è lo stupore dell'opinione pubblica, che non capisce il repentino mutamento di umore. Si è passati, senza soluzione di continuità, da una visione eccessivamente pessimistica a una marcatamente ottimistica. Rischiando un doppio errore di valutazione che, se non corretto tempestivamente, rischia di sommare danno a danno. E di far regredire ulteriormente il Paese, in un contesto internazionale caratterizzato dall'aspra competizione tra Stati e dalla repentina modifica dei reciproci rapporti di forza. In questo clima, l'efficienza della gestione della politica economica rappresenta l'elemento essenziale per evitare regressioni che vanno oltre il terreno dell'economia, per assumere un significato più generale di carattere politico e statuale.
      La defatigante gestione dell'ultima legge finanziaria è stata figlia di queste contraddizioni. Il Parlamento non è riuscito a individuare un baricentro in grado di definire un ordine di priorità, nell'interesse del Paese. Ne è derivato un affastellamento di proposte, ciascuna delle quali, in assenza di una prospettiva di carattere più generale, manteneva una sua intrinseca dignità. Si è deciso, alla fine, sulla base di rapporti di forza assolutamente contingenti. In uno scambio tra Governo, maggioranza e opposizione che, secondo le parole di un autorevole esponente di governo, rispondeva più alle caratteristiche di un suk che non a un disegno indispensabile per rimettere in moto l'Italia. Ne è risultato un esproprio delle prerogative ultime del Parlamento, che non solo non ha deciso, ma non ha nemmeno potuto vedere ciò che stava votando. E non vedendo ha commesso errori, non tecnici ma politici, come la sanatoria per i reati contabili, che sono stati corretti con un successivo decreto-legge. Nel frattempo, tuttavia, il danno era stato in parte già prodotto con il discredito nei confronti delle istituzioni, che avrà effetti non secondari su un'opinione pubblica attonita e preoccupata per lo stato complessivo della democrazia italiana.
      Sono questi i motivi che hanno spinto i presentatori a elaborare una proposta di legge che chiuda con il passato e apra una fase nuova nella gestione delle pubbliche finanze e nel rapporto tra Governo e Parlamento. Lo fanno con uno spirito aperto e costruttivo, rivolto a tutte le forze del Parlamento affinché sul terreno delle regole nasca uno schieramento più ampio che vada oltre i confini esistenti tra maggioranza e opposizione. Consapevoli del fatto che i fondamenti costituzionali non appartengono a una singola forza politica, ma sono patrimonio comune dell'intera Nazione. La proposta di legge che presentiamo non vuole chiudere bensì aprire un dibattito. Per farlo è necessario marcare una discontinuità profonda con il passato e con i tentativi, finora effettuati, di riformare singoli aspetti della procedura, senza interrogarsi sulle cause di fondo che hanno finora impedito di realizzare gli obiettivi che ne erano presupposto.
      C'è bisogno di sperimentare una procedura in grado di coniugare risanamento
 

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finanziario e sviluppo economico. Sono entrambi necessari. L'uno è complemento dell'altro. Senza il risanamento lo sviluppo diventa insostenibile, nel breve e medio periodo. Senza sviluppo il risanamento risulta effimero ed esposto ai venti freddi della prima congiuntura. L'esperienza di altri Paesi, come il Belgio, che negli anni passati avevano un debito pubblico superiore a quello italiano, seppure di poco, dimostra qual'è la strada da seguire. Bilancio tendente a pareggio e crescita del potenziale produttivo dell'economia. Quindi riforme: a partire da quella del mercato del lavoro e delle relazioni industriali per accrescere sia la produttività specifica, sia quella generale dei fattori. La sessione di bilancio, con i suoi strumenti analitici e programmatici, resta la «plancia di comando» da cui dirigere questo processo. Guai se, di fronte alle difficoltà del momento, si tornasse al susseguirsi di provvedimenti estemporanei, svincolati da qualsiasi logica unitaria. Si tornerebbe indietro e si porrebbe l'Italia fuori dal contesto europeo. Non si dimentichi la moral suasion costantemente esercitata dalla Commissione europea; essa è talmente penetrante da integrare i parametri di costituzionalità previsti dall'articolo 81. La mancanza di un momento unitario, in cui concentrare la decisione parlamentare, ne impedirebbe l'esercizio, alimentando la risposta negativa dei mercati, che sono giudici, in ultima istanza, della reale situazione del Paese.
      Il perno del nostro ragionamento è fondato sui grandi cambiamenti epocali che hanno accompagnato l'evoluzione dei sistemi economici. Come la legge n. 468 del 1978 fu figlia della cultura keynesiana, oggi i punti di riferimento internazionali sono diversi. È la globalizzazione il termine di paragone, con tutti i fenomeni che questo nuovo paradigma ha comportato. A partire dalla rivitalizzazione del mercato, della sua logica e della sua tempistica, nonché dai vincoli, sempre più stringenti, di una competizione internazionale che non ammette scappatoie. La sua cogenza è tale che chi non ne rispetta le regole è progressivamente emarginato. E con l'emarginazione viene meno il più potente fattore di sviluppo. Vale a dire un commercio internazionale che cresce a un ritmo più che doppio del prodotto mondiale e che, a sua volta, è profondamente intrecciato ai movimenti del mercato finanziario, dal cui dinamismo - multiplo del semplice volume degli scambi - è dipesa la crescita delle nuove potenze industriali del mondo: il centro di produzione (Cina, India, Asia in generale) del terzo millennio.
      Dal diverso modo di funzionare del sistema economico discendono regole precise che vincolano l'azione delle autorità di governo. Occorre, innanzitutto, riconquistare la stabilità finanziaria. Quindi procedere alla graduale riduzione del carico fiscale per dare maggiore spazio alle scelte individuali e consentire alle imprese di ridurre i costi di produzione. Su questa esigenza concordano ormai tutti gli economisti e una larghissima maggioranza delle forze politiche italiane. Si può discutere su come ridurle e da dove cominciare, ma non si può mettere in dubbio la portata di questo principio. Ad esso si sono del resto ispirati gli ultimi Governi che si sono succeduti, con modalità diverse, certamente, ma con politiche orientate nella stessa direzione. Ovvero con politiche rivolte alla generalità dei contribuenti, in un caso; con scelte mirate, quali la riduzione del cuneo fiscale, nell'altro.
      Porre un vincolo alla crescita della pressione fiscale è necessario anche per un altro motivo. Si sta discutendo da tempo sulla necessità di un'azione che qualifichi le strutture pubbliche e aumenti la produttività di coloro che in esse danno la loro prestazione. Il problema è annoso e in questi ultimi anni non solo non è stato risolto, ma è peggiorato. Almeno a giudicare dall'andamento dei differenziali retributivi a favore del pubblico rispetto al privato. Numerosi progetti di legge ipotizzano nuovi strumenti di controllo e tecniche di valutazione diverse dal passato. Vedremo i risultati. Un certo scetticismo è tuttavia indispensabile, visti gli scarsi risultati ottenuti dai precedenti tentativi,
 

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rispetto ai quali le nuove proposte innovano solo parzialmente.
      Per affrontare un problema così complesso occorrono almeno due condizioni. Fissare ex ante le risorse da mettere a disposizione della pubblica amministrazione; impostare una strumentazione di controllo più sofisticata, che non isoli il problema della produttività specifica di settore da un contesto più generale. Per quanto riguarda la prima condizione, valgono le analogie con il normale funzionamento del mercato. L'esperienza storica insegna che il processo di riconversione produttiva prende avvio solo quando vengono meno le risorse finanziarie. Finché il credito continua a finanziare l'azienda in difficoltà ogni intervento viene procrastinato. Trasponendo questa logica al settore pubblico si può dire che finché l'erario mantiene un rapporto ancillare con i settori della spesa, ogni processo di razionalizzazione delle strutture viene ritardato e posticipato. L'affluenza di risorse deresponsabilizza la dirigenza e le impedisce di assumere decisioni dolorose e defatiganti. Come si vede, la fissazione ex ante di un limite al finanziamento della spesa non è solo utile per liberare risorse, che possono essere meglio impiegate negli altri settori dell'economia, ma diventa un deterrente in grado di attivare processi virtuosi protesi al recupero di efficienza.
      Non meno importante è la seconda condizione della questione. Una valutazione puntuale del grado di efficienza della pubblica amministrazione non può essere effettuata in astratto. Il giudizio di merito deve porre in costante relazione l'obiettivo che si intende perseguire con l'entità di risorse - umane e finanziarie - che è necessario mobilitare per il suo conseguimento. La risultante di questo processo cognitivo porta a conclusioni aperte nel giudizio finale. Si può, ad esempio, convenire che l'obiettivo, in termini di costi-benefìci, non valga la pena di essere perseguito, o che una diversa modalità nel suo perseguimento - si pensi al principio della sussidiarietà orizzontale e verticale - sia preferibile, oppure, infine, che sia sufficiente una diversa organizzazione per ottenere risultati pubblici soddisfacenti. Il giudizio, come si vede, è estremamente complesso e difficilmente può essere lasciato alle determinazioni di un organo tecnico, per quanto autorevole esso possa essere. La responsabilità di queste scelte non può che fare capo a un organo che sia rappresentativo della sovranità popolare, perché spetta al popolo la decisione ultima circa le forme della propria convivenza. Al Parlamento devono essere quindi offerti gli strumenti per esercitare, in modo razionale, questo diritto-dovere. Esso deve conoscere e saper valutare i programmi e le missioni in cui si articola l'intervento pubblico e in che modo questo interagisce con gli altri istituti del diritto privato. Solo cosi si avrà una visione unitaria di quel reticolo di rapporti che innerva la società civile.
      Ma le sfide della globalizzazione non si esauriscono nella maggiore conoscenza. Occorre rapidità decisionale. Essa è indispensabile per fare fronte ai continui cambiamenti imposti dagli agenti esterni. Le spinte esogene, provenienti dal mercato internazionale o dal continuo mutamento nei rapporti tra i diversi Stati, impongono da un lato il loro continuo monitoraggio, dall'altro una reazione rivolta ad approfittare delle occasioni che, di volta in volta, si presentano. Occorre contenere gli eventuali effetti negativi. Occorre, pertanto, restringere i tempi della sessione di bilancio e nello stesso tempo rendere più flessibile e tempestivo il rapporto tra Governo e Parlamento al fine di non appesantire il processo decisionale, che deve rispondere con tempestività alle sollecitazioni esterni.
      Tutto ciò postula una specializzazione degli organi preposti. Le Commissioni parlamentari sono il motore che può dare continuità all'azione di governo. Esse possono seguire, con rapidità, i mutamenti che intervengono nei diversi settori produttivi e valutare le proposte che il Governo è chiamato a formulare. Il problema non è limitare l'iniziativa parlamentare dei singoli deputati, ma prendere atto del fatto che essa, fin da oggi, ha una portata diversa rispetto al passato. Questa perdita di peso può essere compensata dall'esercizio
 

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di un controllo più penetrante, capace di tradursi nelle forme dell'indirizzo politico, e, quindi, di far pesare, lungo questo nuovo sentiero, le antiche prerogative dell'organo. Naturalmente si è consapevoli delle difficoltà, anche di natura culturale, che questo cambiamento comporta: ne verrà probabilmente un contenimento del potere emendativo, che è tipico della funzione parlamentare, un vulnus che potrà essere compensato da un più penetrante potere di controllo. Ma il processo della globalizzazione ha una portata tale da giustificare una diversa articolazione della funzione parlamentare, considerando l'importanza delle nuove sfide e la loro ineludibilità.
      Adattarsi al cambiamento è divenuto, del resto, una regola di vita. Al di fuori di questi parametri non c'è futuro. Ma solo un declino destinato a trasformarsi rapidamente nell'inevitabile decadenza. A questo stress sono sottoposti aziende e lavoratori; è necessario che i membri del Parlamento comprendano la necessità di «bere un amaro calice», se vogliono ancora svolgere quella funzione di indirizzo e di controllo che è prerogativa delle moderne democrazie. Si è cercato di declinare questi nuovi princìpi nella proposta di legge allegata. Princìpi fondamentali che possono così riassumesi:

          a) abolizione del Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF): al suo posto il Parlamento discuterà del Programma di stabilità, previsto dal Trattato di Maastricht, che sarà successivamente trasmesso agli organismi comunitari;

          b) nuova struttura della legge finanziaria: non più norme minuziose e localistiche, ma una legge quadro che contenga princìpi di delega in relazione ai programmi da realizzare e alle missioni cui adempiere, appostando le necessarie risorse. Non più di trenta articoli, da approvare nel rigoroso rispetto del primo comma dell'articolo 72 della Costituzione e dei tempi programmati. Contestualmente saranno presentati presso le Commissioni parlamentari di merito i decreti legislativi che daranno attuazione alle linee programmatiche. Queste ultime potranno, così, procedere a una contestuale analisi, rinviando il prescritto parere all'indomani dell'approvazione della legge delega. I Regolamenti parlamentari dovranno garantire il necessario coordinamento dei lavori;

          c) realizzazione di un continuum tra budget e bilancio preventivo: per deliberare nuovi programmi e nuove spese è necessario, innanzitutto, conoscere - Ministero per Ministero - lo stato dell'arte, ovvero quello che è stato fatto, i risultati conseguiti, le innovazioni da introdurre;

          d) maggiore leggibilità e trasparenza dei documenti contabili: le cifre del bilancio andranno aggregate per programmi e missioni, individuando le risorse necessarie (umane e finanziare) per realizzare i relativi obiettivi, nei tempi indicati. Si avrà così una base più solida per valutare i servizi resi ai cittadini ed esercitare l'azione di responsabilità nei confronti dei Ministri e della sottostante struttura amministrativa;

          e) maggiore rigore nel controllo dei risultati: la contabilità finanziaria dovrà essere integrata da quella analitica, per definire il costo unitario della singola prestazione e confrontare i risultati con gli andamenti del mercato. I budget andranno certificati da autorità indipendenti;

          f) valorizzazione del ruolo del Parlamento: a un diverso modo di legiferare - minore attenzione ai microinteressi, maggiore riguardo per la dimensione di carattere nazionale dei problemi - dovranno corrispondere poteri più penetranti nell'esercizio della funzione ispettiva e di controllo. Nell'esame del budget le Commissioni parlamentari potranno chiamare a riferire Ministri e dirigenti dell'amministrazione, essere aiutate da esperti di settore, richiedere pareri e consulenze per essere posti in grado di scandagliare le singole poste del bilancio e accertare la loro congruenza con i programmi sottostanti;

          g) specializzazione funzionale: occorre specializzare le diverse sedi in cui

 

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opera il Parlamento e valorizzare al massimo le Commissioni parlamentari come organi il cui controllo e indirizzo diventano permanenti e penetranti, lasciando all'Aula compiti più generali: di indirizzo complessivo, di coordinamento e di verifica dei risultati conseguiti nei luoghi decentrati, nonché il giudizio, in ultima istanza, sull'operato del Governo;

          h) semplificazioni delle procedure parlamentari: sarà questo il risultato automatico delle modifiche ipotizzate. Per rendere meno convulso il confronto tra le forze politiche non è necessario indicare tempi, che non saranno rispettati, o, se lo saranno, solo in conseguenza di un esame monco e parziale. Occorre, invece, cambiare l'architettura complessiva della sessione di bilancio a partire dalla struttura dei documenti contabili, quindi dalla ripartizione dei compiti tra i vari organi in cui si articola la complessa organizzazione parlamentare: evitando i doppioni, il prevalere del semplice formalismo, l'inutile ritualità dell'eccesso di procedure e semplificando al massimo, per ritrovare un'efficacia e un'efficienza da troppo tempo perdute.

      La presente proposta di legge si compone di diciannove articoli, il cui contenuto è di seguito riassunto.
      L'articolo 1 stabilisce la tipologia dei documenti in cui si sostanzia la gestione finanziaria dello Stato: il bilancio annuale di previsione e il budget. L'anno finanziario inizia il 1o gennaio e termina il 31 dicembre.
      L'articolo 2 stabilisce che le previsioni di entrata e di spesa si fondano sulla programmazione finanziaria e fissa il calendario in base al quale il Governo presenta alle Camere i relativi documenti.
      L'articolo 3 reca le norme per la predisposizione del bilancio annuale di previsione. Tale documento, per ciascun Ministero, si compone di programmi e missioni, che comprendono l'insieme delle risorse finanziario e strumentali necessarie per il raggiungimento dello scopo. I commi da 3 a 5 indicano i criteri per la redazione del bilancio e il contenuto delle singole poste. Il comma 6 stabilisce il limite all'autorizzazione di impegni e pagamenti. Il comma 7 indica le parti di cui si compone il bilancio di previsione: lo stato di previsione dell'entrata, gli stati di previsione della spesa distinti per Ministeri e il quadro generale riassuntivo. Il comma 8 specifica forma e contenuto di ciascuno stato di previsione. Il comma 9 dispone la ripartizione delle poste di bilancio secondo un piano dei conti correlato alle esigenze della contabilità analitica e le modalità con le quali tali poste sono ripartite ovvero i casi in cui si possono effettuare variazioni compensative. Ai commi 10 e 11 si prevede una particolare destinazione di spese di investimento ad aree depresse e disagiate e alle zone montane. Al comma 12 si dispone l'esposizione, in apposito allegato, delle risorse destinate a ciascuna regione. I commi 13 e 14 prevedono le norme per l'approvazione delle componenti del bilancio di previsione. Il comma 15 rinvia ad apposita norma la fissazione dell'importo massimo di emissione di titoli pubblici.
      L'articolo 4 tratta del Programma di stabilità. Il comma 1 precisa che esso definisce la manovra di finanza pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Il comma 2 ne stabilisce i contenuti: il quadro tendenziale e quello programmatico degli andamenti della finanza pubblica; gli obiettivi di fabbisogno del settore statale; gli obiettivi di fabbisogno complessivo; le regole di variazione delle entrate e delle spese dello Stato e delle pubbliche amministrazioni; l'articolazione degli interventi necessari per il conseguimento di tali obiettivi. I commi 3 e 4 stabiliscono che il Programma di stabilità è il documento che fissa i criteri e i parametri per la formazione del bilancio annuale e pluriennale e che esso ha la funzione di indicare la ripartizione delle risorse tra i Ministeri.
      L'articolo 5 regola forme e contenuti del bilancio pluriennale di previsione. Il comma 1 ne fissa il periodo di competenza, comunque, non inferiore a tre anni, e ne stabilisce i contenuti. I commi 2 e 3

 

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stabiliscono le forme secondo la quale è redatto il bilancio pluriennale. Il comma 4 tratta dell'approvazione del bilancio pluriennale.
      L'articolo 6 dispone che, ai fini della formazione del bilancio, ciascun Ministro indica obiettivi e programmi del proprio dicastero. Spettano al Ministro dell'economia e delle finanze la valutazione di tali indicazioni e la successiva predisposizione del progetto di bilancio di previsione.
      L'articolo 7, in attuazione dell'articolo 81 della Costituzione, stabilisce che il bilancio dello Stato deve essere redatto secondo i criteri dell'integrità, dell'universalità e dell'unità.
      L'articolo 8 dispone la ripartizione delle entrate e delle spese dello Stato. Il comma 1 ripartisce le entrate in titoli, poste programmatiche, categorie e voci. Il comma 2 ripartisce le spese in funzioni-obiettivo, poste programmatiche e voci. Lo stato di previsione della spesa, secondo il comma 3, deve essere corredato con un quadro contabile da cui risultino, per le spese, le categorie, le funzioni-obiettivo e la ripartizione per Ministero. Nei commi da 4 a 7 si enunciano forme e modalità per la ripartizione delle entrate e delle spese.
      L'articolo 9 istituisce il «Fondo di riserva per le spese obbligatorie e di ordine». L'articolo 10 istituisce il «Fondo speciale per la riassegnazione dei residui passivi delle spese in conto capitale, eliminati negli esercizi precedenti per perenzione amministrativa». L'articolo 11 istituisce il «Fondo di riserva per le spese impreviste». L'articolo 12 istituisce il «Fondo di riserva per l'integrazione delle autorizzazioni di cassa». L'articolo 13 istituisce il «Fondo di riserva per l'integrazione delle autorizzazioni di spesa delle leggi permanenti di natura corrente». L'articolo 14 istituisce il «Fondo di riserva per la riduzione della pressione fiscale». La tipicità di questi Fondi consente una maggiore elasticità nella gestione del bilancio e la possibilità di fare fronte a quegli imprevisti che richiedono la disponibilità di maggiori risorse, senza incidere sulla struttura più complessiva del documento contabile. Di particolare importanza è l'articolo 14, che prevede esplicitamente un Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Esso può essere alimentato sia dalle maggiori entrate che si accertano rispetto alle previsioni iniziali, sia dalla riduzione delle poste programmatiche di spesa.
      L'articolo 15 disciplina il budget relativo all'anno precedente, che è presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze al Parlamento entro il mese di maggio e si compone dei bilanci di ciascun Ministero, redatti secondo le disposizioni dei commi da 2 a 6.
      L'articolo 16 dispone i termini e le modalità per la presentazione della legge di delega della legge finanziaria. Ai commi 2, 3 e 4 se ne stabiliscono i contenuti. Ai commi 5 e 6 si stabilisce che la legge finanziaria può disporre nuove o maggiori spese e se ne determinano limiti e modalità.
      L'articolo 17 prevede che la legge finanziaria stabilisca gli importi dei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi che verranno approvati nel corso degli esercizi finanziari riferibili al bilancio pluriennale, in particolare di quelli finalizzati al perseguimento degli obiettivi del Programma di stabilità. Nei commi da 2 a 5 si specificano le modalità con cui tali fondi devono essere conteggiati e i limiti, ovvero le deroghe, al loro utilizzo. In particolare, il comma 5 prevede l'utilizzo di tali fondi per spese corrispondenti a obblighi internazionali e ne fissa le modalità.
      L'articolo 18 fissa le modalità per la copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate. Il comma 2 stabilisce che ogni iniziativa legislativa presentata dal Governo deve essere corredata da una specifica relazione tecnica sulla copertura finanziaria. Allo stesso modo, ai sensi del comma 4, per le iniziative legislative regionali e del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Il comma 5 stabilisce i contenuti delle relazioni tecniche quando le iniziative legislative riguardino la materia pensionistica o il pubblico impiego. Il comma 6 sancisce obblighi e compiti di
 

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monitoraggio per la Corte dei conti circa le coperture di spesa e le quantificazioni degli oneri delle leggi approvate. Il comma 7 reca disposizioni in materia di autorizzazione dei limiti di spesa. Il comma 8 stabilisce la competenza in materia di vigilanza sul rispetto dei limiti autorizzati. Il comma 9 indica la procedura da rispettare nel caso di scostamenti dalle previsioni di spesa o di entrata.
      L'articolo 19 tratta la fattispecie di leggi di spesa pluriennale e a carattere permanente. Il comma 1 determina, per le leggi di spesa pluriennale, le modalità di redazione con riferimento specifico alla quantificazione della spesa totale e alla suddivisione della stessa negli anni di competenza. Il comma 2 regola la fattispecie di utilizzo di tali leggi da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici. Il comma 3 detta le norme per le leggi a carattere permanente.
      L'articolo 20, infine, abroga le norme della legge n. 468 del 1978 che sono oggetto della nuova disciplina dettata dalla presente proposta di legge.
 

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